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Con la riscrittura della disciplina dei controlli a distanza dei lavoratori si completa l’operazione di aggiornamento e semplificazione di alcune norme dello Statuto dei lavoratori, datato 1970, da parte del Jobs act. A cambiare sono stati “pezzi” importanti di legislazione lavoristica, come l’articolo 18 per i neo assunti dal 7 marzo e le mansioni (per tutti), a cui ieri si è aggiunto l’articolo 4 della legge 300.
La nuova norma sui controlli a distanza chiarisce la regola per la quale gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale (dunque non per esclusive finalità di controllo) purchè previo accordo sindacale, in alternativa, autorizzazione ministeriale.
La novità rispetto al “vecchio” articolo 4 è che «l’accordo collettivo o l’autorizzazione non sono richiesti con riguardo agli strumenti utilizzati dal dipendente per il lavoro, come uno smartphone o un tablet, ed ai badge per il controllo delle entrate e delle uscite – spiega Riccardo Del Punta, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Firenze, e consulente del ministro, Giuliano Poletti -. Ma attenzione, se ad uno smartphone viene applicato un geolocalizzatore, torna a essere necessario il passaggio sindacale o in alternativa quello amministrativo». Un’altra novità è che si supera la discrezionalità dei giudici in questa materia: «Le informazioni raccolte sia con gli strumenti di controllo che con quelli di lavoro – aggiunge Del Punta – sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, dunque anche disciplinari, a condizione che sia data ai lavoratori (per esempio, tramite un regolamento aziendale) un’adeguata, e ovviamente preventiva, informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, e siano rispettate in generale le prescrizioni del Codice privacy, tra cui per esempio quella che i controlli debbono essere proporzionati».
A giugno un altro Dlgs attuativo del Jobs act aveva modificato la normativa sulle mansioni: il nuovo articolo 2103 Cod. civ. innova profondamente: si permette che al lavoratore, fermi restando l’inquadramento e il trattamento acquisiti, possano essere assegnate mansioni proprie del livello di inquadramento immediatamente inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, qualora ciò sia la conseguenza di una riorganizzazione aziendale che incida sulla posizione del lavoratore (ulteriori ipotesi possono essere previste dai contratti collettivi anche aziendali, purché stipulati con soggetti rappresentativi); e si consente, anche, che possano essere stipulati validamente, purché in sede assistita, accordi individuali col lavoratore, comportanti la modifica di mansioni, inquadramento e trattamento retributivo, quando ciò sia finalizzato all’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione (per esempio «quando il ri-mansionamento è l’alternativa ad un licenziamento economico», evidenzia Del Punta); all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.
La prima modifica alla legge 300 ha riguardato l’articolo 18, con l’introduzione di una nuova disciplina in vigore dal 7 marzo per i neo-assunti a tempo indeterminato “a tutele crescenti”. Non sono stati modificati i presupposti, che sono sempre il giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) o la giusta causa, ma è cambiato il regime delle conseguenze sanzionatorie, le quali sono state rese sia più certe che più leggere. La novità fondamentale è che il regime sanzionatorio è incentrato non più sulla reintegrazione, bensì su una tutela economica (due mensilità per ciascun anno di servizio entro un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità). Nelle piccole imprese sono previsti importi ridotti. La tutela reale è prevista solo in residuali casi di licenziamento disciplinare (insussistenza del fatto materiale contestato). Ma, più della causa in giudizio, le nuove regole, evidenzia Del Punta, incentivano il raggiungimento di conciliazioni bonarie tra le parti: «Infatti, se il datore offre al lavoratore licenziato in sede assistita, tramite assegno, entro 65 giorni dal licenziamento, una somma pari a una mensilità per anno di servizio, entro un minimo di 2 e un massimo di 18 mensilità, quell’importo è esente, oltre che da contributi, da imposte, il che si traduce in un cospicuo vantaggio per entrambe le parti».
(Autore: Claudio Tucci Giampiero Falasca Il Sole 24 Ore)
(Fonte: Lavoro&Impresa)