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Con la sentenza 1581/2023, la Corte di cassazione ha chiarito che l’indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento non rientra nella base di computo del TFR.
L’articolo 2120 del Codice civile stabilisce che, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione da assumere per il calcolo del TFR comprende tutte le somme corrisposte, a titolo non occasionale, in dipendenza del rapporto di lavoro.
Nella giurisprudenza Cassazione si sono registrati per lungo tempo due orientamenti contrapposti. Secondo il primo orientamento , il preavviso di recesso ha efficacia “reale”. Di conseguenza, una volta comunicato il licenziamento da parte del datore di lavoro, il lavoratore avrebbe diritto a prestare effettivo servizio durante il periodo di preavviso; ove egli ne sia dispensato, il datore di lavoro avrebbe l’obbligo di preservare tutti i diritti retributivi del dipendente che sarebbero maturati nel corso del preavviso, compresa l’incidenza sul TFR della retribuzione che sarebbe stata erogata.
Invece secondo un diverso , e oggi prevalente, orientamento, il preavviso ha efficacia “obbligatoria”, comportando la risoluzione immediata del rapporto, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva. Ne consegue che il periodo di mancato preavviso deve essere escluso dal computo delle mensilità aggiuntive, delle ferie e del TFR in quanto riferito a un arco di tempo non lavorato, successivo alla già intervenuta cessazione del rapporto di lavoro.
A questo secondo orientamento viene data continuità dalla sentenza 1581/2023 che, richiamando in motivazione i precedenti della Suprema corte, ha cassato la decisione di appello, la quale aveva considerato incidente sul TFR l’indennità sostitutiva del preavviso.
La sentenza, invece, non esamina la fattispecie in cui la contrattazione collettiva preveda espressamente, tra le voci computabili nel TFR, anche l’indennità sostitutiva del preavviso. In tal caso, ad avviso di chi scrive, la
questione della natura obbligatoria o reale del preavviso appare recessiva rispetto alla manifestazione di volontà espressa dalle parti collettive. Infatti, la deroga consentita dall’articolo 2120, secondo comma, del Codice civile a favore dei contratti collettivi potrebbe essere esercitata nel senso di escludere dalla base di calcolo un elemento retributivo che vi rientrerebbe in applicazione della norma, così come di prevederne l’inclusione anche se non rientrante nell’ambito applicativo della disposizione.
(Autore: AMS)
(Fonte: Il Sole 24Ore)