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Ad otto mesi dall’attivazione del progetto Garanzia giovani in Italia, è il caso di chiedersi se vale la pena proseguire con un modello di gestione che non sta generando i frutti sperati. I dati di sintesi che si possono estrapolare dal sito del governo, a dire il vero non facile da comprendere, sono i seguenti: 311.440 giovani registrati (al 10 dicembre 2014), circa il 18% del bacino potenziale del 1.723.000 giovani NEET che potrebbero usufruire del programma, dei quali 116.835 «presi in carico», sulla base della procedura della «Garanzia giovani». Di questi, solo 9.543 sono stati i beneficiari di una «proposta di misura». Sono dati che parlano da sé. Lo strumento Garanzia giovani, così come è stato sin qui attuato, non è certo in grado di far fronte alla grave emergenza in atto, relativamente alla disoccupazione giovanile, che si evidenzia in due dati essenziali: quasi il 45% dei giovani under 25 è disoccupato; circa 2,5 milioni di giovani under 29 non studiano e non lavorano.
Occorre pertanto intervenire su due linee di azione: farsi promotori presso l’Unione europea di un ripensamento sul progetto europeo «Garanzia giovani», per il quale sono stati destinati svariati miliardi di euro, sulla base di un interrogativo di fondo: un progetto di per sé basato sul concetto che dopo quattro mesi dal ciclo scolastico un giovane deve essere comunque avviato a una nuova attività di formazione o a una attività di lavoro è di per sé sufficiente? In tal modo, infatti, si tamponano situazioni provvisorie o si interviene su situazioni di tipo congiunturale, ma non si profilano soluzioni di tipo strutturale, non si genera lavoro produttivo, lavoro potenzialmente stabile. In aggiunta, sul piano nazionale, nonostante il governo italiano fosse riuscito a strappare un contributo di 1,5 miliardi per il biennio 2014/2015 a valere sulla Garanzia giovani, nel 2014, per la non efficace organizzazione regionale del progetto, è stato speso ben poco.
(Fonte: ItaliaOggi)